Nei verbali del FOMC si legge che i rischi legati agli scambi e alla crescita globale sono diminuiti dopo la firma dell’accordo commerciale di fase uno fra USA e Cina, ma anche che sono emersi altri rischi, fra cui l’epidemia di coronavirus. La Fed ha rilevato la necessità di monitorare con attenzione gli sviluppi legati al coronavirus, ma, dal momento che l’attività economica sta crescendo a un “ritmo moderato” e che il mercato occupazionale rimane “forte”, l’outlook per la politica della Fed “probabilmente resterà adeguato per un certo periodo”. La Fed intende diminuire gli acquisti di titoli dal secondo trimestre. Tuttavia, l’attività sul mercato dei titoli di Stato USA suggerisce che gli investitori si aspettano almeno un altro taglio del tasso nella seconda metà dell’anno.
Nuova giornata di contrattazioni, nuovi massimi storici per l’azionario USA. Mercoledì l’S&P500 e il Nasdaq hanno toccato nuovi massimi storici sulla scia del comunicato della Fed, giudicato favorevole, e della speranza che gli sforzi cinesi per contenere la diffusione del coronavirus con l’impiego delle tecnologie dell’informazione, una cosa che sanno fare, contribuiranno a limitare i danni. L’FMI ha ribadito che quest’anno dovrebbe esserci un rimbalzo della crescita globale, sebbene l’attività economica sia offuscata dalle preoccupazioni per il coronavirus.
Il rendimento dei decennali USA è rimasto intorno all’1,55% e l’indice del dollaro USA è avanzato a 99,72 punti, facendo salire l’USD/JPY oltre quota 111 per la prima volta da più di un anno.
Il WTI ha compiuto un rally a $54 al barile
I titoli energetici e tecnologici hanno fatto da capofila a New York. Le azioni di Apple (NASDAQ:AAPL) (+1,45%) hanno recuperato le perdite d’inizio settimana e Tesla (NASDAQ:TSLA) ha chiuso in rialzo del 6,88%.
In Asia, invece, l’azionario ha avuto un andamento contrastato. Le azioni giapponesi hanno registrato timidi rialzi per effetto dello yen in calo, il rialzo dell’ASX è stato dovuto soprattutto ai titoli dell’energia, il Composite di Shanghai ha guadagnato l’1,84% dopo che la banca centrale cinese (People’s Bank of China, PBoC) ha tagliato il tasso Loan Prime Rate (LPR) a 1 anno di 10 punti base, al 4,05%, e il tasso LPR a 5 anni di 5 punti base, al 4,75%, mentre Hang Seng (-0,23%) e Kospi (-0,67%) sono scesi marginalmente.
I future sul FTSE (+0,13%) puntano a un avvio positivo a Londra; il recupero dei prezzi del petrolio e il calo della sterlina dovrebbero sostenere l’indice ad alto tasso di titoli energetici.
Sul forex, le vendite sull’euro sono aumentate dopo che i dati Gfk sul clima fra i consumatori tedeschi hanno mostrato un deterioramento nel sentiment economico in Germania, a fronte di cifre previste invariate. L’ulteriore debolezza dei dati tedeschi ha rafforzato gli orsi dell’euro, spianando la strada a vendite più marcata, fino 1,0777 contro l’USD. Predomina la flessione.
Nel Regno Unito, la sterlina prima ha compiuto un rally, perché a gennaio l’inflazione è balzata all’1,8%, dall’1,3%, più di quanto previsto dagli analisti. L’inflazione superiore alle attese ha allontanato le colombe della Banca d’Inghilterra (BoE), ma fa temere che il potere d’acquisto dei britannici possa subire un colpo, in seguito al calo della crescita delle retribuzioni emersa dal dato pubblicato ieri. Il dato sulle vendite al dettaglio di gennaio, che sarà diffuso oggi, dovrebbe confermare se le cose stanno così. Stando alle previsioni degli analisti, a gennaio le vendite dovrebbero riprendersi dello 0,7% m/m a fronte del -0,6% registrato il mese precedente. Un’eventuale delusione dovrebbe alimentare le apprensioni sull’indebolimento del potere d’acquisto e pesare sulla sterlina. Mercoledì la sterlina si è avvicinata al massimo post-elezioni contro l’euro e il cable è salito a 1,3022 prima di precipitare a 1,29. L’inversione è stata provocata soprattutto dall’impennata del dollaro USA dopo la notizia che, negli USA, il dato core sui prezzi alla produzione si è impennato del 2,1% a gennaio, a fronte dell’1,6% previsto dagli analisti e dell’1,3% registrato il mese precedente. La Fed, tuttavia, sembra disposta ad accettare uno sforamento ragionevole nell’inflazione, sebbene su questo punto non vi sia consenso.
Per quanto riguarda i mercati emergenti, i trader della lira turca non vedono di buon occhio l’ultimo taglio di 50 punti base deciso dalla banca centrale turca, che evidentemente ha agito sotto le pressioni del presidente Erdogan. L’inflazione supera il 12% e la banca centrale ha deciso di far scendere i tassi a valori a una cifra, per cui gli investitori sono sempre più a disagio nel correre il rischio di detenere lire. Le posizioni corte sulla lira dovrebbero aumentare ulteriormente. Lo sfondamento della resistenza a 6,10 contro il dollaro USA ormai è solo questione di tempo.