La Commissione europea propone una tassa sulle transazioni finanziarie: dello 0,1 per cento su titoli e obbligazioni e dello 0,01 per cento per le operazioni sui derivati. Finora si è detto che un provvedimento simile non è fattibile, perché operatori e operazioni si sposterebbero semplicemente su altri mercati. Ma il successo di una imposta di bollo inglese in vigore dal 1986 dimostra che non è così. E oltretutto, la Tobin tax non ricadrebbe sugli investitori tradizionali, ma sui trader ad alta frequenza. Potrebbe perciò finire per garantire maggiore stabilità al sistema.
La Commissione europea ha annunciato una proposta per l'introduzione di una tassa europea sulle transazioni tra imprese finanziarie: dello 0,1 per cento per titoli e obbligazioni e dello 0,01 per cento per le operazioni sui derivati. È una proposta destinata a suscitare una vivace opposizione. Le Cassandre si metteranno subito a gridare che si tratta di un'altra idea folle dell'Europa, che prefigura un Armageddon finanziario.
Per la verità, la tassa è fattibile più di quanto molti di noi pensino. Come tutte le tasse, può essere concepita bene o male, ma se è ben concepita può dare molti benefici.
FORSE UNA BUONA IDEA, MA NON REALIZZABILE
Prima dell'annuncio della Commissione, banchieri e politici hanno dato voce alla loro coscienza sociale sostenendo che una tassa sulle transazioni finanziarie è una splendida idea, ma semplicemente non è realizzabile. I mercati finanziari, si argomenta, sono passati da un controllo ferreo su piazze di scambio ben reali, con telescriventi e fogli-ordine, al cyberspazio, dove con un paio di click gli scambi si possono spostare verso i centri finanziari dai costi, tasse e regolamentazione più bassi. È una bella immagine ed è un argomento che conosco bene perché per qualche tempo l'ho utilizzato anch'io.
Eppure, a confutare questa logica – e paradossalmente anche la rituale risposta del governo britannico a ipotesi di questo tipo: siamo favorevoli solo se la tassa è applicata a livello globale, per ridurre l'elusione –, esiste e funziona con successo una antica e molto ampia tassa sulle transazioni finanziarie, che pure non ha contropartite simili nel mondo. E tutto ciò accade in una delle più grandi e più internazionali piazze finanziarie a livello globale: la Gran Bretagna.
Dal 1986, e prima in forma diversa, il governo britannico ha imposto unilateralmente, e senza continuare ad aspettare gli altri, una Stamp Duty Reserve Tax dello 0,50 per cento sulle transazioni di obbligazioni in Gran Bretagna. Nonostante la tassa non sia stata adeguata in modo da ricadere anche sui derivati e su altri strumenti innovativi, o ridotta per migliorare la competitività, produce ancora un gettito di 5 miliardi l'anno.
Questa tassa funziona - mentre altre no, ad esempio quella dello 0,5 per cento introdotta in Svezia nel 1984 - perché è una imposta di bollo sul trasferimento di proprietà e non è basata sulla residenza.
Se il trasferimento non ha il suo “bollo” e la tassa non è stata pagata, il trasferimento non è legalmente valido. Gli investitori istituzionali che detengono molte attività in varie parti del mondo non corrono rischi sulla validità legale. Il 40 per cento della Stamp Duty Reserve Tax è pagato da residenti all'estero: lungi dallo spedire i contribuenti verso altri lidi, la tassa fa sì che gli stranieri paghino.
LONDRA NON È SOLA
La Gran Bretagna non è l'unico centro finanziario di rilievo con una imposta di bollo sulle transazioni finanziarie. Alcune delle piazze finanziarie in più rapida crescita nel mondo, come Hong Kong, Seul, Mumbai, Johannesburg e Taipei, hanno introdotto da tempo tasse simili e oggi questi paesi incassano 20 miliardi di dollari l'anno dalle tasse “unilaterali”. Entrate ancora maggiori sono previste dalle nuove tasse imposte introdotte dal Brasile, un paese che ciononostante ha difficoltà a contenere l'entusiasmo degli investitori: una tassa una tantum dello 0,1 per cento non incide molto sulle decisioni degli investitori a lungo termine.
IL PROBLEMA DELL'ELUSIONE
Tutte le tasse sono un incentivo all'elusione. Quelle sulle transazioni finanziarie devono essere perciò necessariamente modeste relativamente ai costi di transazione esistenti e applicate a quanti più strumenti di sostituzione possibile. La semplicità è un vantaggio, ma in questo caso la Commissione europea potrebbe riesaminare la sua proposta che prevede la stessa aliquota per titoli e obbligazioni in quanto i costi di transazione per i due strumenti sono molto diversi. Le clearinghouse sulle transazioni tra società finanziarie hanno introdotto da tempo questa distinzione nella loro struttura dei compensi, senza dar luogo a distorsioni o confusioni.
Abbandonato l'argomento della fattibilità, i banchieri sono passati a quello della liquidità, un tema suggestivo considerato che siamo ancora così vicini al disastro finanziario del 2008.
Le vittime designate delle tasse sulle transazioni finanziarie sono i trader ad alta frequenza, contrapposti invece agli operatori tradizionali: fondi pensioni, compagnie di assicurazione e investitori individuali che cambiano il loro portafoglio con meno frequenza. È una buona notizia perché i banchieri cercheranno di trasferire la tassa sui loro clienti, ma il peso maggiore non ricadrà sui normali pensionati e risparmiatori, ma sui manager delle società di hedge fund e sui loro investitori.
I trader ad alta frequenza sostengono di fornire una liquidità fondamentale per il sistema, ma non è vero. Nei periodi di tranquillità, quando i mercati sono già liquidi, i trader ad alta frequenza agiscono controcorrente rispetto all'andamento del mercato e favoriscono la liquidità, ma nei periodi di crisi, cercano di anticipare il trend, drenando liquidità proprio quando sarebbe più necessaria, come abbiamo visto nel flash crash del 6 maggio 2010. Se dunque una tassa sulle transazioni mette un limite agli scambi ad alta frequenza, può essere un contributo al miglioramento della resilienza sistemica.
Autore: Avinash Persaud - LaVoce.info