ROMA (Reuters) - Matteo Renzi incasserà la fiducia del Senato al Jobs act sul filo di lana domani mentre sarà già a Milano a presiedere la conferenza europea sul lavoro in compagnia di Angela Merkel e François Hollande.
Oggi i tempi di discussione in aula si sono dilatati per la mancanza del numero legale, determinata da Forza Italia, e in attesa del maxi emendamento dell'esecutivo sul quale formalmente sarà posta la fiducia. Probabilmente la discussione generale andrà avanti fino a domani mattina quando ci sarà la replica del governo con voto di fiducia nel pomeriggio, secondo quanto presumono alcuni senatori.
Il testo è ormai pronto, secondo il sottosegretario al Welfare Teresa Bellanova, e dovrebbe accogliere alcune richieste dei senatori di minoranza Pd, un beau geste per far digerire il voto di fiducia. "Ma non sull'articolo 18", ha riferito Federico Fornaro, tra i firmatari dei sette emendamenti.
Un senatore centrista riferisce che le modifiche al testo uscito dalla commissione Lavoro sono "insignificanti".
La minoranza non farà mancare la fiducia, ma Fornaro ha definito il metodo usato dall'esecutivo "uno strappo istituzionale: ci sono solo due precedenti di richiesta di fiducia su un disegno di legge delega, è un segno di debolezza". Pippo Civati ha detto che i senatori della sua area, minoritaria comunque, usciranno dall'aula per abbassare il quorum.
Un invito a "responsabilità e lealtà anche nel dissenso, anche davanti a forzature" arriva dall'ex segretario del partito Pierluigi Bersani che però ribadisce come "sul ddl lavoro si stia perdendo una grande occasione".
Renzi non sembra preoccupato. È "naturale" che il Pd domani voti la fiducia "come ha sempre fatto", ha detto. Il voto, poi, è palese, scongiurando il rischio di "agguati" da parte dei franchi tiratori, ma "ove ci fossero li affronteremo". "Se la maggioranza ha voglia di andare avanti voterà la fiducia, se non ha voglia di andare avanti non voterà la fiducia. Ma noi le riforme le dobbiamo fare", ha tagliato corto il premier.
CHIARIMENTI SU TUTELE LICENZIAMENTI DISCIPLINARI IN DECRETI
Incontrando i sindacati a Palazzo Chigi stamattina presto, Renzi ha ribadito i capisaldi della strategia del governo sul lavoro votati la scorsa settimana dalla direzione del Pd: diritto al reintegro per i licenziamenti discriminatori e per gravissimi casi disciplinari; riduzione delle forme contrattuali; 1,5 miliardi per gli ammortizzatori sociali e 2 miliardi per la riduzione delle tasse sul lavoro da inserire nella legge di Stabilità che sarà presentata a metà ottobre.
Il nuovo testo dovrebbe quindi prevedere maggiori garanzie sulle risorse per gli ammortizzatori sociali, una contestualità tra la riforma degli ammortizzatori e la semplificazione delle forme contrattuali, criteri oggettivi in tema di demansionamento e controlli a distanza per dare maggiori garanzie al lavoratore e minore discrezionalità all'azienda.
Sui licenziamenti la minoranza chiedeva la piena tutela dell'articolo 18 per tutti i neoassunti dopo i primi tre anni di contratto a tutele crescenti. La norma non sarà sicuramente recepita sia perché non sarebbe mai votata dall'alleato di centro destra Ncd, i cui voti sono dirimenti in Senato per Renzi, sia perché superata da quanto approvato dalla direzione Pd.
La cosa più probabile è che, dopo un 'can can' di settimane, lo spinoso tema dei licenziamenti ingiusti venga dettagliato nei decreti delegati che il governo presenterà dopo il via libera definitivo alla delega, quindi nel 2015.
Lo stesso Renzi ha detto che sulla estensione della tutela in caso di licenziamenti disciplinari dirà qualcosa in aula il ministro del Welfare Giuliano Poletti ma la tipizzazione "sarà resa puntuale nei decreti delegati".
(hanno collaborato Alberto Sisto e Roberto Landucci)