2025 potrebbe essere l'anno dei bond. In EU, sì a banche italiane e dividend yield

EditorAlessandro Bergonzi
Pubblicato 14.01.2025, 09:09
© Reuters

A cura di Livio Spadaro, Senior Portfolio Manager di Frame Asset Management

Lo scenario geo-politico resta un fattore di rischio (ma anche un’opportunità) sia per il quadro macro che per i mercati finanziari. La situazione macroeconomica attuale è diversa tra le varie aree geografiche mondiali, il focus principale prevarrà sugli Stati Uniti la cui economia ha mostrato una certa resilienza, a dispetto di aspettative poco entusiasmanti nel 2024, mentre per l’area asiatica e l’Europa la situazione è diversa.

Per quel che riguarda gli States la situazione ad inizio 2024 era di incertezza per la tenuta economica dopo il repentino rialzo dei tassi operato dalla Federal Reserve per contrastare l’aumento dell’inflazione. Tuttavia, come si è visto nei passati report dello scorso anno, la situazione macro non era poi così pessimistica: i consumi sono risultati robusti, le aziende americane hanno riportato risultati migliori delle attese (grazie soprattutto all’apporto delle Big Tech), il tasso di disoccupazione seppur tornando al 4% è rimasto su livelli storicamente molto contenuti mentre l’inflazione è diminuita pur rimanendo al di sopra del target della Fed ma su livelli comunque più tollerabili.

Il tutto si è tradotto in una crescita reale ben al di sopra delle attese che ha premiato gli investitori posizionati sull’azionario e i bond con Duration contenuta, penalizzando quelli invece investiti sulla parte lunga della curva presi in contropiede da un movimento inusuale dei rendimenti rispetto alle azioni operate dalla banca centrale.

Movimento che si è concretizzato probabilmente per la presa di coscienza da parte dei mercati che la banca centrale americana stesse intraprendendo un percorso troppo dovish per il reale andamento economico, piuttosto robusto, rischiando di surriscaldare l’economia e l’inflazione americana. Si è arrivati ora a un punto in cui si è all’opposto della situazione dello scorso anno: l’economia è ancora effettivamente forte ma in rallentamento mentre il consenso è piuttosto ottimistico grazie anche alla vittoria di Trump alle elezioni che ha rafforzato la view positiva per via dell’agenda fiscale pro-ciclica e disinflazionistica del tycoon americano.

Il mancato rally di Natale non è in genere un preludio positivo, tuttavia gennaio è il mese che storicamente ha la funzione di barometro per l’intero anno.  Comunque, le attese per gli utili 2025 sembrano effettivamente eccessive, gli analisti si attendono oggi una crescita del 17% per l’anno in corso che, unitamente ad una crescita economica reale del PIL americano del 2.2%, rischia di essere irrealistica. Gli investitori hanno prezzato queste attese con le valutazioni spinte su nuovi massimi, l’ultima volta che si è osservato il P/E a questi livelli è stato durante la bolla Dot.co.  L’ottimismo è osservabile anche dagli spread creditizi che sono rimasti su livelli storicamente depressi, suggerendo che non vi è una preoccupazione per il rischio creditizio nei prossimi mesi. Tuttavia, sono diversi i segnali che suggeriscono una cautela: la produzione manifatturiera è ormai in declino da oltre 2 anni, il rallentamento delle costruzioni nella seconda metà del 2024 è stato sensibile così come l’espansione degli investimenti fissi delle aziende. Il mercato del lavoro risulta ancora solido ma le condizioni si stanno lentamente deteriorando.  Tutto questo mix di fattori, se si unisce allo spike dei rendimenti che è restrittivo per le condizioni finanziarie, limita l’upside di crescita economica che non significa necessariamente l’arrivo di una recessione ma semplicemente che l’economia può crescere meno delle aspettative. Ad oggi le probabilità di recessione sono piuttosto contenute e sono notevolmente diminuite nel corso degli ultimi mesi.  L’indice di sorpresa economica di Bloomberg ha iniziato da qualche tempo a dare segni di declino pur non venendo seguito dal rendimento dei Treasury, il cui spike è causato anche da un timore per l’eccessivo deficit che potrebbe scaturire dall’implementazione dell’agenda di Trump. 

A tal proposito è da tenere a mente che negli States è difficile che le politiche fiscali vengano implementate in toto anche quando un solo partito ha il controllo dell’intero Congresso, è possibile che il tycoon non riesca a implementare tutte le riforme fiscali desiderate per via delle preoccupazioni bipartisan sul tetto del debito e del deficit federale. Bisogna anche tenere a mente che il sentiment dei mercati riguardo le aspettative economiche e degli utili negli ultimi anni è stato piuttosto volatile, si è passati da un eccessivo pessimismo ad un eccessivo ottimismo nel giro di pochi mesi. Basti pensare anche solo al 2024: da zero tagli dei tassi attesi si è passati a 7 per poi tornare a zero e poi a 4, oggi ci si attende meno di un taglio e mezzo per il 2025, meno dei 2 previsti dalla stessa Federal Reserve.

Per il Vecchio Continente la situazione è ancora diversa, al netto delle problematiche politiche dei singoli Paesi membri. L’economia europea è stagnante in virtu’ delle difficoltà di quella tedesca che per il 2025 è vista in crescita di appena lo 0.4%, un target apparentemente difficile se si guarda all’andamento dell’industria tedesca in stasi ormai da diverso tempo. Già a novembre gli ordinativi alle fabbriche tedesche sono diminuiti del -5.4% m/m contro un’aspettativa del -0.2%.  L’inflazione dell’Area Euro è tornata a salire, trainata dai prezzi energetici, quella Core è invece piuttosto stabile grazie a quella del settore dei servizi che continua persistentemente a mantenersi intorno al +4%. Inflazione settoriale che potrebbe proseguire l’attuale andamento, in virtu’ di un tasso di disoccupazione ai minimi storici che preme sulla crescita dei salari mantenendo l’inflazione depurata dai prezzi dei beni volatili lontana dai target della BCE Eurotower che nel corso del 2024 ha basato i tagli dei tassi e la retorica sulle future mosse sul contenimento dell’indice dei prezzi al consumo generico, il cui andamento è dipendente prevalentemente dai prezzi dell’energia tornati a salire a causa dell’inverno piu’ freddo che ha aumentato l’utilizzo del gas.

I mercati sono fiduciosi che la BCE continuerà il pattern di tagli dei tassi in maniera aggressiva per il nuovo anno, diversi economisti hanno criticato la banca centrale per aver ridotto tardivamente i tassi in uno scenario di evidente deterioramento economico. Christine Lagarde ha aperto le porte a nuovi tagli per la prima volta nell’ultima riunione di dicembre, abbandonando in parte la retorica dell’approccio volta per volta adottato nelle riunioni passate. L’istituto centrale avrà il difficile compito di destreggiarsi tra una crescita economica stagnante e un’inflazione che potrebbe riservare sorprese a rialzo per via sia di fattori esogeni che strutturali (inflazione core stabilmente al di sopra del target della banca centrale) e gli effetti che potrebbero avere i cambiamenti elettorali nei Paesi core europei.

Al netto di tutto, la Cina è ancora molto lontana dall’aver intrapreso le azioni fiscali/monetarie utili a risolvere i problemi attuali dell’economia. Il debito deteriorato riferito prevalentemente al mercato immobiliare è stato ristrutturato solo in minima parte, i tassi sono stati tagliati di circa 100 bps mentre non vi è stato praticamente alcun impulso fiscale. La nota positiva è che la retorica delle autorità è migliorata, le dichiarazioni rilasciate negli ultimi mesi suggeriscono che c’è una maggiore attenzione per rivitalizzare l’impulso dei consumi domestici, probabilmente anche in virtu’ di nuove tensioni commerciali con gli Stati Uniti che impongono una minore dipendenza dall’export. Tuttavia, la domanda da porsi è quando e quanto effettivamente le dichiarazioni delle autorità troveranno concretezza, i mercati per ora ipotizzano una “giapponificazione” della Cina. A livello globale si sta osservando un rallentamento del commercio. Il PMI Manifatturiero globale a dicembre è diminuito a 49.6 punti, risultando in contrazione per 5 volte negli ultimi 6 mesi. Il calo di dicembre è stato guidato prevalentemente dalla flessione nella produzione, dei nuovi ordini, dall’occupazione settoriale e dai livelli degli acquisti. Il contributo peggiore è arrivato dalla Francia, Germania e Austria ma in generale il volume degli scambi commerciali internazionali si è ridotto per il settimo mese consecutivo. Tuttavia, il PMI Composito globale ha osservato il 14mo mese consecutivo di espansione con una lettura a dicembre pari a 52.6 punti, in aumento rispetto ai 52.4 di Novembre. Il settore dei Servizi ha fatto da traino a livello mondiale, con la nuova attività di business accresciuta al ritmo piu’ veloce in 7 mesi mentre i prezzi di input e di output solo stati leggermente superiori al mese precedente.

Dunque, in generale l’economia continua a espandersi seppur a due velocità: il settore Manifatturiero annaspa un po’ ovunque mentre quello dei Servizi, motore sia della recente crescita globale che dell’inflazione “sticky”, continua a registrare un buon andamento. L’accelerazione negli ultimi mesi potrebbe anche essere dovuta alla prospettiva di tensioni commerciali che ha convinto le aziende a fare incetta di scorte prima che i dazi vengano implementati.

Ricapitolando, un investitore per il 2025 deve fare attenzione a diverse variabili:

-       Tensioni geo-politiche che impattano i corsi delle materie prime

-       Cambiamenti politici: in particolare in Europa dove potrebbero verificarsi mutamenti politici di rilievo con l’emergere delle destre populiste

-       Tensioni commerciali: i dazi erodono il potere di spesa dei consumatori per via di un aumentato costo dei beni. Possono avere un effetto regressivo con consumi che rallentano e prezzi che aumentano. Da tenere in focus quei Paesi/aree che possono subire un maggiore impatto economico dall’introduzione dei dazi e la reazione delle autorità locali all’eventualità

-       Economia USA: resta il motore della crescita globale, bisogna tenere in osservazione variabili quali tasso di disoccupazione, andamento dei consumi e settore dei Servizi

Dove e come si può investire sapendo che tra i principali mercati:

-       L’economia USA continuerà a crescere ma probabilmente a un ritmo inferiore di quello atteso

-       L’economia europea rimarrà in una fase di stallo con alcune economie che tenderanno a performare meglio rispetto ad altre e l’inflazione che potrebbe tornare a salire limitando lo spazio di easing monetario della BCE

-       L’economia cinese rischia di cadere in un lungo periodo di stagnazione se le autorità non implementeranno le misure necessarie

Questo induce a ritenere che, contrariamente al 2024, l’obbligazionario quest’anno possa offrire un’opportunità di investimento anche su Duration piu’ elevate. Gli spread molto compressi dell’High Yield potrebbero indurre a sovrapesare l’Investment Grade anche se le politiche fiscali di Trump possono aiutare a migliorare comunque la redditività delle aziende per cui il rischio credito rimarrebbe contenuto, si puo’ fare un mix “pescando” anche tra i mercati emergenti i cui bilanci nazionali sono molto piu’ solidi che in passato e ove le banche centrali tendono a reagire tempestivamente ai mutamenti economici.

All’epoca il quadro era diverso ma alcuni settori possono “fare la rima” col passato. La Tecnologia resta il settore ove si concentrano i flussi degli investimenti, Trump con il supporto di Musk tenderà a proseguire ingenti politiche di investimento nel settore. Su questo i segmenti Spazio, Difesa Tech, produttori di chip restano gli “osservati speciali” mentre tra i settori tradizionali le Utilities possono giocare un ruolo per via dall’appetito energetico generato dai data center per il mining di cryptovalute e Cloud. Le Small e Mid Cap possono beneficiare del reshoring che vorrà implementare il presidente americano, l’Healthcare è anch’esso un settore interessante ma va valutato l’impatto su questo della nomina di Kennedy al Ministero della Salute. Da cercare di evitare o quanto meno da sotto-pesare quelle aziende le cui supply chain sono ancora molto legate all’Asia, da ricercare quelle che abbiano una buona diversificazione geografica delle vendite.

La Difesa resterà anch’essa oggetto di investimenti pubblici, questo probabilmente accadrà anche in Europa che tenderà ad accontentare le richieste del neo-presidente americano di incremento della spesa per la Difesa. Nel Vecchio Continente le banche, soprattutto italiane, potranno beneficiare un livello di tassi elevato rispetto al passato ed è un settore da tenere in considerazione anche per via del dividen yield. In Europa sono interessanti quelle aziende che offrono un dividendo elevato, il dividend yield delle aziende europee è sicuramente piu’ attraente di quello offerto da quelle americane.

Per quel che riguarda la Cina, la scommessa è che le autorità si sforzeranno di implementare le misure necessarie ma il rischio è che i mercati non resteranno ad attendere per sempre un’azione decisiva. Pertanto, se si intende investire in questo Paese scommettendo sulla ripresa della domanda interna sono preferibili quelle società che dipendono dalla domanda interna piuttosto che dall’export estero.

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