Investing.com – Proseguono le vendite sui mercati europei, mentre i futures USA lasciano presagire un’apertura debole per Wall Street.
Italia e Spagna in coppia quali indici peggiori, Ftse Mib e Ibex 35, seguiti dal Dax (-0,50%) e dal Cac 40, mentre lotta intorno alla parità il Ftse 100.
L’indice principale italiano non risce a superare la quota psicologica dei 22 mila punti, sfiorata a fine settimana scorsa, per poi allontanarsene ad inizio settimana.
A Milano lo spread resta a bassi livelli (138 punti) seppure in lieve crescita (+4%), ma sono proprio le banche a soffrire di più, condizione testimoniata dal FTSE Italia All Share Banks, in flessione di quasi il 2%.
Cedono il 3% FinecoBank (MI:FBK), Bper Banca (MI:EMII), Ubi Banca (MI:UBI), seguite di poco da Unicredit (MI:CRDI), Banco Bpm (MI:BAMI), Monte dei Paschi di Siena (MI:BMPS), Banca Piccolo Credito Valtellinese (MI:PCVI) e via via tutte le altre, mentre resiste illimity Bank (MI:ILTY) (+0,68%).
In flessione anche i finanziari europei (STOXX Banks EUR Price a -2,20%), tra cui spiccano in negativo Banka e Commerzbank a -4%, Sabadell (MC:SABE) e Caixabank (MC:CABK) a -3%, a cui si aggiunge il -2% di Santander (MC:SAN), BBVA (MC:BBVA), Deutsche Bank (DE:DBKGn) e Societe Generale (PA:SOGN).
Dopo il nuovo ‘bazooka’ deciso dalla Banca centrale europea la settimana scorsa, i ‘dovish’ fanno affidamento sulla decisione di domani sui tassi affidata al FOMC, ‘braccio armato’ della Federal Reserve.
Secondo molti esperti si è ormai dissolto il dubbio sulla possibilità o meno di un taglio ai tassi da parte dell’istituto centrale USA, ormai deciso sotto i colpi dei tweet di Donald Trump, e definito “ormai certo con una probabilità assegnata dal mercato al 100%, suddivisa fra il 97% circa per una mossa di 25pb e il 3% circa per una di 50 punti base”, dagli esperti di Intesa Sanpaolo (MI:ISP), che spiegano così la ragione:
“La nostra previsione è un taglio di 25 punti base: a nostro avviso nel Comitato non c’è un consenso sufficiente per una mossa più aggressiva, anche se i pareri favorevoli a un intervento di 50 punti base sono aumentati di recente”.
Non sono così sicuri gli analisti di S&P Global Ratings, i quali sottolineano il ruolo dell’inflazione e del petrolio, con Ann Bovino, capo economista dell’istituto che spiega:
“La spinta all’inflazione dall’aumento dei prezzi del Petrolio, anche se piccola, va ad aggiungersi ai segnali che l’inflazione core si sta già riscaldando. Il che può rendere più difficile per la Fed tagliare ulteriormente i tassi”.