Durante la riunione di ieri a Jackson Hole, il presidente della Federal Reserve (Fed) Jerome Powell ha presentato il nuovo approccio di politica monetaria, ritoccando come previsto l’obiettivo d’inflazione della banca dal 2% al “2% nel tempo”. Tale modifica permetterà alla Fed di mantenere tassi d’interesse bassi più a lungo e di concentrarsi sul raggiungimento di un mercato occupazionale più sano in seguito alla pandemia da Covid, che ha avuto un effetto devastante sulle aziende e reso quasi 14,5 milioni di americani disoccupati. Nel secondo trimestre l’economia statunitense si è contratta del 31,7%, livello peggiore mai registrato dall’inizio delle rilevazioni, ma leggermente meno di quanto previsto dagli analisti.
Nel secondo trimestre l’indice PCE, barometro dell’inflazione USA monitorato con attenzione dalla Fed, è sceso dell’1,8% a fronte dell’1,3% registrato il mese precedente, a conferma che il ritocco annunciato dalla Fed consentirà davvero il superamento dell’obiettivo d’inflazione nel medio termine. Ma la Fed non sarà costretta a ridimensionare la sua politica monetaria ultra-accomodante dopo la pubblicazione di ogni singolo dato. Pertanto oggi gli investitori seguiranno la pubblicazione dell’indice PCE di luglio, senza tuttavia preoccuparsi troppo per ogni singolo incremento dei dati riferiti all’inflazione.
In fin dei conti, il discorso di Powell è stato sufficientemente accomodante da spingere l’interesse per le azioni USA. L’S&P 500 ha toccato quota 3500 punti, un nuovo record, anche se il trading è stato instabile e l’indice ha chiuso la seduta con un timido rialzo dello 0,17%. Il Dow ha guadagnato lo 0,57%, il Nasdaq ha ceduto lo 0,34%.
L’USD è stato venduto in modo massiccio durante l’intervento di Powell ed è rimasto debole contro le principali valute G10. I titoli del Tesoro USA sono rimasti sotto pressione; la curva dei rendimenti USA è salita perché i bond a scadenza più lunga sono stati colpiti duramente dalle aspettative d’inflazione in aumento. Il rendimento dei titoli decennali USA è balzato allo 0,77%, livello che non si vedeva da giugno.
Borse contrastate in Asia: l’ASX 200 (-0,70%) è sceso marginalmente, mentre gli indici Composite di Shanghai (+0,51%), Hang Seng (+0,87%) e Nikkei (+0,42%) hanno tratto vantaggio dalla salda propensione al rischio in seguito al discorso di Powell a Jackson Hole.
L’attività sui future degli indici azionari europei indica una ripresa dopo le perdite di ieri.
L’oro è salito brevemente oltre i $1950 all’oncia, per poi tornare rapidamente nella sua fascia di trading attuale, compresa fra $1900 e $1950. Nel medio termine, la Fed colomba e le aspettative di inflazione in aumento dovrebbero continuare a fornire supporto al metallo giallo, ma gli investitori stanno perdendo interesse in nuove posizioni lunghe intorno a quota $2000, perché l’aumento dei rendimenti dei titoli del Tesoro fa crescere il costo opportunità di detenere oro, e inoltre gli attuali livelli di prezzo fanno presagire un potenziale al rialzo limitato.
La debolezza dell’USD continua ad alimentare i rialzi di EUR/USD, GBP/USD e AUD/USD.
L’EUR/USD è salito a 1,19 e il cable ha raggiunto un nuovo massimo post-pandemia pari a 1,3284. Anche se a nostro avviso entrambi i livelli sono esagerati alla luce delle crescenti preoccupazioni per la diffusione della pandemia in Europa e delle tensioni irrisolte per la Brexit a pochi mesi dal conto di divorzio definitivo, non escludiamo la possibilità di un ulteriore progresso, perché gli investitori non sembrano disposti a orientarsi di nuovo sull’USD a breve.
L’AUD/USD si prepara a testare la resistenza a 0,73 sull’onda della diffusa debolezza dell’USD, dei prezzi del minerale di ferro che viaggiano sui massimi dell’anno, e sui dati che mostrano una ripresa economica più rapida in Cina, il maggior partner commerciale dell’Australia.
Il greggio WTI è sceso sotto i $43 al barile perché l’uragano Laura ha perso vigore dopo aver colpito la Louisiana, per cui le raffinerie del Texas dovrebbero evitare l’impatto peggiore della tempesta. Pare proprio che il petrolio abbia toccato i massimi su questi livelli, per cui crescono le probabilità di una correzione ribassista più marcata verso quota $42,30 (media mobile a 50 giorni) e poi $40 al barile.
L’USD/CAD è scivolato sotto il livello a 1,31 per la prima volta da gennaio. L’USD debole e i prezzi del petrolio stabili continuano a sostenere i tori del loonie. Le cifre sul PIL canadese che saranno divulgate oggi potrebbero mostrare un miglioramento a giugno e incoraggiare un progresso della coppia verso il nostro obiettivo di medio termine a 1,30. Una potenziale correzione ribassista dei prezzi del petrolio potrebbe però arginare la flessione dell’USD/CAD in prossimità di questo livello.