L’azionario USA è precipitato del 3% dopo il taglio inaspettato di 50 punti base deciso ieri dalla Federal Reserve (Fed). Sembra che la mossa sia stata fonte di frustrazione per gli investitori, che si aspettavano un intervento più creativo, a maggior impatto, di un semplice taglio del tasso, che, a loro avviso, non rimedierà ai problemi causati dall’interruzione delle catene di fornitura. E questo è il problema reale: gli investitori si aspettano che le banche centrali diventino gli eroi che non sono.
Intanto nemmeno l’impegno dei ministri del G7 a fornire il supporto necessario per far fronte allo shock sull’economia provocato dal coronavirus ha conquistato gli investitori.
La corsa verso i beni rifugio ha acquisito slancio. Il rendimento dei decennali USA è sceso sotto l’1% per la prima volta nella storia. L’oro è rimbalzato a $1652 all’oncia.
In Asia, invece, si è registrato un sentiment leggermente migliore.
I future su Dow, (+1,58%), S&P500 (+1,43%) e Nasdaq (+1,51%) hanno compiuto un balzo in avanti.
Nikkei (+0,08%), Hang Seng (+0,15%) e Composite di Shanghai (+0,63%) hanno registrato timidi rialzi, invece a Sydney (-1,71%) la borsa è rimasta indietro, nonostante la crescita del PIL nel quarto trimestre superiore alle attese in Australia.
Il greggio WTI ha tenuto sopra i $46,50 al barile: i trader del petrolio continuano a sperare che, alla riunione del 5-6 marzo, l’OPEC e i suoi alleati trovino una soluzione soddisfacente per arginare la flessione dei prezzi del petrolio. Noi dubitiamo che l’OPEC abbia una soluzione creativa per rinsaldare il sentiment degli investitori, ormai pesantemente deteriorato. Stando a quanto prevedono gli analisti, dovrebbe esserci un taglio di 1 milione di barili al giorno nella produzione, ma anche questa cifra potrebbe essere inferiore di quella che gli investitori sperano in silenzio. L’OPEC si trova pertanto di fronte a un grande dilemma. Deve tagliare la produzione in modo massiccio per far salire il mercato, ma anche un taglio “consistente” potrebbe non esserlo abbastanza. Il rischio per il cartello è che, se il marcato taglio nella produzione non riuscisse a spingere il prezzo del petrolio, i ricavi subirebbero un grave colpo.
I future su FTSE (+0,56%) e DAX (+0,65%) indicano che non dovrebbe esserci un’ondata di vendite in avvio di contrattazioni in Europa.
Sui mercati valutari, il dollaro a buon mercato ha spinto l’EUR/USD sopra la soglia a 1,12, ma la coppia si è imbattuta in forti vendite oltre questo livello. L’indice di forza relativa indica che la moneta unica potrebbe essere stata acquistata troppo velocemente in un arco di tempo troppo breve, per cui dovrebbe arrivare presto una correzione. Ma la forte pressione a vendere sul dollaro USA probabilmente arginerà il potenziale ribassista, considerando che la Banca Centrale Europea (BCE) non ha il margine della Fed per tagliare i tassi. In Europa, gli investitori si affidano agli stimoli fiscali che, migliorando le prospettive di crescita, potrebbero fornire un supporto alle vendite di euro nel prossimo futuro. I dati sulle vendite al dettaglio in Germania ed Eurozona, che saranno diffusi oggi, dovrebbero mostrare un miglioramento a gennaio. Dati incoraggianti dovrebbero sostenere la domanda di euro, invece una sorpresa negativa dovrebbe innescare discrete vendite di correzione.
Negli USA, il rapporto sull’occupazione ADP potrebbe confermare che, a gennaio, l’economia USA ha creato meno posti di lavoro nel settore privato a causa del rallentamento nell’attività provocato dal coronavirus. Gli analisti prevedono la creazione di 170.000 nuovi posti di lavoro a fronte dei 291.000 del mese precedente. Dati deboli potrebbero colpire ulteriormente il dollaro USA.
La sterlina trae vantaggio dal dollaro USA più debole, ma i rialzi restano fragili, viste le crescenti apprensioni per una Brexit senza accordo. D’altro canto, per Londra la Brexit potrebbe essere un’ottima opportunità per concludere un solido accordo commerciale con Washington. Ma il 46% delle esportazioni britanniche è destinata ai paesi UE e solo il 13% verso gli USA. Ne consegue che anche un buon accordo con gli USA potrebbe non alleviare l’impatto economico di un divorzio disordinato dall’UE.
Infine, alla riunione di oggi, la Banca del Canada (BoC) probabilmente abbasserà il suo tasso di riferimento, dall’1,75% all’1,50%, ma la mossa è perlopiù scontata. Il loonie (CAD) rimarrà esposto ai rischi al ribasso sui mercati petroliferi.