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Trade War: nuova escalation da non prendere alla leggera...

Pubblicato 18.09.2018, 11:06
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Martedì 18 Settembre

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 L’annuncio ufficiale della nuova ondata di tariffe è arrivato. Non ha scioccato il mercato più di tanto, essendo stato telegrafato da tempo. Inoltre ci siamo ormai assuefatti a questo tipo di headline e al fatto che gli indizi azionari, soprattutto a Wall Street, riescano a guardare oltre. Non necessariamente però può rappresentare una regola e il mercato potrebbe iniziare a ragionare con più calma sull’ultima escalation e a trarne qualche conclusione più negativa. Intanto bene l’Italia anche se a mio parere l’articolo del Corriere di ieri non è ‘vera gloria’.

 US-Cina. L’annuncio ufficiale della nuova ondata di tariffe, ordinata da Trump su 200 bio USD di importazioni dalla Cina (quattro volte tanto quelle sottoposte a dazi finora) che diventeranno operative il 24 settembre, è arrivato, ieri sera dopo la chiusura del mercato americano. Non può rappresentare uno shock terribile nel momento in cui questa notizia era stata telegrafata con ampio anticipo nelle settimane passate e ne era stata data una semi-ufficialità già sul finire della settimana passata. Ad addolcire leggermente la pillola l’aliquota che, come era stato anticipato dal WSJ, sarà del 10% e non del 25% spesso ventilato nelle indiscrezioni precedenti, anche se la minor imposizione sarebbe ‘a tempo’ (si salirebbe al 25% nel 2019 se non si raggiunge un accordo per allora) e più per permettere alle aziende US di adeguare la propria supply-chain che come concessione atta ad ammorbidire la negoziazione con Pechino. D’altro canto a rendere più difficile un recupero negoziale in tempi breve è arrivata anche la minaccia di Trump sul fatto che qualsiasi risposta cinese implicherà automaticamente nuove tariffe su altri 267 bio USD di import che rappresentano praticamente l’avanzo non ancora tassato sulle importazioni complessive annuali. La reazione del mercato, come descritto nel paragrafo che riguarda la sessione asiatica appena conclusasi, è stata molto composta sulla falsariga di quanto visto ultimamente all’inasprirsi delle tensioni commerciali. Credo però che ora investitori e analisti inizieranno a ragionare con più calma sui potenziali effetti di questa specifica e robusta escalation e non sarà facile fare finta di nulla. Qualche punto che va sottolineato:

 L’aggressività Americana appare in evidente accelerazione. Oltre ai volume sottoposti a tassazione (4x i 50 bio del round precedente) anche la velocità di implementazione è superiore. Per i 50 bio citati ci vollero 6-7 settimane dalla fine del periodo di ‘commento pubblico’ (23 maggio) all’implementazione ufficiale (6 luglio per la seconda tranche da 14 bio). Stavolta sta succedendo tutto in meno di 3 settimane (dal 6 al 24 settembre). Probabile che l’imminenza delle elezioni di metà mandato spinga l’amministrazione americana a mostrare la massima determinazione, cosa che non è destinata a cambiare prima del 6 novembre.

 Proprio quest’aumentata aggressività rende gli spazi di manovra dei cinesi per far ripartire un negoziato praticamente nulli. Le affermazioni del cosigliere economico Larry Kudlow appaiono di facciata (U.S. READY TO NEGOTIATE WITH CHINA ANYTIME IF THEY ARE READY FOR SERIOUS AND SUBSTANTIVE TALKS / CHINA ECONOMIC REFORM EFFORTS ARE MOVING IN THE WRONG DIRECTION). Il plenipotenziario di Xi per temi economici, Liu He, ha già subito un paio di umiliazioni negli ultimi mesi (a marzo Trump non lo incontrò neanche, in maggio quando probabilmente pensava di aver raggiunto un accordo, venne liquidato con un tweet presidenziale di riapertura delle ostilità) e non credo si presenterà a Washington con la pistola alla tempia di questi dazi già varati.

 La Cina, come è risaputo, importa molto meno dagli Stati Uniti (160 bio USD circa nel 2017) rispetto a quanto accada nell’altro senso (più di 500 bio USD). Non ha quindi un ‘arsenale’ di importazioni su cui rispondere a questo punto pan per focaccia. La sua probabile ritorsione diventa quindi più imprevedibile. Negli ultimi giorni si è parlato di misure qualitative, con razionamento delle esportazioni mirate a mettere in difficoltà la supply-chain di importanti settori produttivi US (ad esempio sulla componentistica necessaria alla Apple). Se sulla scelta delle categorie di importazioni da colpire Pechino si era mostrata attenta a far male alla base elettorale di Trump (soybean ad esempio), ora potrebbe cercare di essere quanto più chirurgica possibile nel cercare di destabilizzare Wall Street, forse l’unica cosa in grado di far avere dei ripensamenti alla Casa Bianca.

 Le conseguenze sull’economia americana potrebbero iniziare ad essere meno controllabili e la disparità di impatto tra i danni che la trade war tra US e Cina è in grado di provocare alle due economie diventare meno evidente. Il consumatore americano verrà necessariamente colpito da questa corposa tornata di dazi. I beni di largo consumo rappresentavano solo il 10% delle categorie sottoposte a dazio in precedenza (50 bio), sono il 35-40% di questi 200 bio (mobili, valige, aspirapolveri, condizionatori). E la percentuale è destinata a aumentare ancora se si andassero a colpire i restanti 267 bio come minacciato (includendo computers, telefonini e altro materiale elettronico).

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 I disagi del Nasdaq e del dollaro. Intanto si è cominciata ad intravedere qualche avvisaglia sul fatto che il mercato inizi ad interrogarsi sull’assioma trumpiano di come vincere una guerra commerciale sia facile, facendo notare come “il loro mercato azionario stia crollando mentre il nostro è ai massimi”. Ieri Wall Street ha patito l’evidente imminenza dell’annuncio (S&P -0.6%) e il Nasdaq in particolare è rimasto vittima di una evidente sotto-performance (-1.4%), trainato al ribasso dai suoi titoli guida Apple (-2.6%, presumibilmente preoccupata da futuri cambiamenti nelle sue linee di approvvigionamento) e Amazon (NASDAQ:AMZN) (-3.2%). Dal canto suo il dollaro, che ci aveva abituato a reagire con solidità, a tratti anche forza, a qualsiasi notizia di escalation sul fronte del protezionismo, ieri ha mostrato di soffrire l’ufficialità di questa ulteriore accelerazione. È forse presto per trarre delle conclusioni in questo senso dal momento che ieri la forza di euro e sterlina nei confronti del biglietto verde è stata almeno in parte giustificabile da cause specifiche (la forza del BTP per l’EUR, altre headline ottimistiche sul raggiungimento di un accordo di uscita sul fronte Brexit per il GBP), ma è una dinamica che va monitorata nelle prossime sessioni. Finora la Fed ha potuto continuare a seguire i suoi ragionamenti e suoi modelli ritenendo l’azione della Casa Bianca uno schema negoziale per raggiungere un equilibrio più favorevole in un futuro più o meno prossimo. Appare ogni giorno più evidente (e emerge chiaramente anche nelle pagine del libro di Bob Woodward ‘Fear’, che ci racconta degli accesi dibattiti tra il Presidente e l’allora consigliere economico Gary Cohn) che Trump ha una vera e propria ossessione per la riduzione degli sbilanci commerciali e che la sua non è una semplice postura negoziale. E che soprattutto, nei confronti della Cina, un atteggiamento aggressivo ha una radice ben più bipartisan di qualsiasi altro punto del manifesto politico dell’immobiliarista newyorkese. La Fed potrebbe iniziare a prendere atto di tutto ciò. O, più semplicemente, il mercato potrebbe iniziare ad attendersi che lo faccia.

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Nei momenti difficili la rotazione verso settori difensivi aiuta ancora Wall Street…

 Italia. Ancora una volta la stampa domestica (un articolo del Corriere della Sera, “La trincea di Tria. Il deficit si fermerà all’1.6%” di Federico Fubini, prima e terza pagina ieri) ha acceso le polveri innescando una sessione con una discreta esplosività rialzista per gli asset italiani. Lo spread (10Y) vs Bund ha limato altri 14bp quasi in isolamento rispetto al resto della periferia europea (Spagna ferma, Portogallo e Grecia hanno portato a casa rispettivamente 3 e 6bp di restringimento). A 238bp siamo ora tornati ai livelli di inizio agosto, prima cha partisse la seconda (dopo quella di maggio-giugno) ondata di vendite sul BTP. Piazza affari non è naturalmente stata guardare, come testimonia il suo +1.1% al cospetto delle altre piazza europee praticamente ferme. Nonostante sia possibilista sulle potenzialità di ulteriore recupero che la carta governativa, i crediti bancari (e non) e l’azionario di casa nostra possano avere se il mercato verrà rassicurato sulla volontà di tenere la conflittualità fiscale con l’Europa sotto controllo, mi permetto di gettare un po’ di acqua sul fuoco dell’entusiasmo per quanto riguarda la causa specifica del rally di ieri. Nell’articolo di Fubini la parte bullish era tutta nel titolo (comunque sarebbe indubbiamente un’ottima notizia per il mercato se il deficit venisse contenuto con margine sotto il 2%). Il contenuto dell’articolo si concentrava in realtà sul tema ben più delicato e complesso di come far quadrare l’austerità dei conti (rispetto a quanto ci si poteva attendere qualche settimana fa) con la volontà politica del governo giallo-verde.

 Idlib. La notizia di ieri è certamente positiva. Putin e Erdogan hanno trovato un accordo per evitare un attacco diretto delle truppe (siriane)-russe-iraniane(sciite) su questa enclave che ha radunato ormai 3 milioni tra civili e militanti ribelli (jihadisti e non) in fuga da altre area di questa disastrata regione. Oltre che ad evitare una quasi certa catastrofe umanitaria, il cercare di demilitarizzare la zona dovrebbe contribuire a diminuire le tensioni incrociate tra i numerosi attori in gioco (includendo anche gli Stati Uniti pronti ad un intervento diretto) e ad evitare una nuova ondata di profughi in fuga verso la Turchia e, in seconda battuta, verso destinazioni europee. Non sembrano probabili implicazioni di mercato immediate. Non si vede al momento un effetto positivo sugli asset turchi, già tornati sotto pressione dopo il sollievo portato dall’inattesa aggressività della banca centrale settimana scorsa.

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 La sessione asiatica è stata resa vivace dal dover assorbire l’annuncio ufficiale dei dazi in arrivo sui 200 bio USD anche se poi l’effetto finale è stato più quella di una certa volatilità e movimenti iniziali (forza JPY, debolezza AUD e calo azionario, future dell’S&P 500 compreso) poi riassorbiti nell’arena valutaria e rimasti solo marginalmente negli indici azionari con l’Hang Seng (-0.7%) a rappresentare il consueto capro espiatorio per le tensioni commerciali sino-americane, la maggior parte delle piazze del pacifico invariate e il notevole progresso (Nikkei +1.4%, Topix +1.8%) dell’azionario giapponese che ha dovuto recuperare la chiusura di lunedì.

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 Oggi parlerà Draghi (10:15 CET) ma difficilmente fornirà un messaggio inatteso e muoverà il mercato, essendosi appena espresso attraverso il canale ufficiale della conferenza stampa a valle della riunione ECB di giovedì scorso. Per il resto, con un agenda macro praticamente vuota, la politica e la geopolitica, con i loro sviluppi imprevedibili (quantomeno nella tempistica), continueranno a essere il principale market-mover. Buona giornata.

imf Alessandro Balsotti, Strategist e Gestore del JCI FX Macro Fund

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