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Il dollaro USA si stabilizza sulla scia del crollo dell’azionario

Pubblicato 31.03.2016, 10:54
Aggiornato 07.03.2022, 11:10

Giovedì si è conclusa la serie negativa per l’USD, protrattasi per tre giorni, perché gli investitori hanno finito di scontare i commenti da colomba di Yellen. L’indice del dollaro, che misura la forza della divisa statunitense rispetto a un paniere di valute, si è stabilizzato intorno a 94,92, senza riuscire a violare il forte supporto che giace a 94,57 (minimo 18 marzo).

L’EUR/USD ha toccato il nuovo massimo da un mese, raggiungendo quota 1,1365, dopo che il dato ADP ha mostrato che a marzo le aziende USA hanno creato 200 mila posti di lavoro, superando le 195 mila unità delle previsioni.

Ciò nonostante, la cifra precedente è stata rivista al ribasso, da 214 a 205 mila unità. Il dato NFP in uscita domani dovrebbe attestarsi a 205 mila unità. Nel complesso, sembra che il mercato presti sempre meno attenzione ai dati che provengono dal mercato del lavoro, seguendo le orme della Federal Reserve, e concentrandosi dunque sui dati relativi all’inflazione e sullo sviluppo del mercato finanziario globale.

La coppia GBP/USD ha perso slancio, iniziando a invertire rapidamente i guadagni. Il cable è scivolato dello 0,80% rispetto al massimo segnato ieri, pari a 1,4340. Al rialzo si osserva una resistenza a 1,4459 (massimo 30 marzo), mentre al rialzo un supporto giace a 1,4057 (minimo 24 marzo).

Ieri il greggio è stato oggetto di nuove pressioni a vendere a New York sull’onda delle preoccupazioni per l’eccedenza di offerta – dall’inizio dell’anno le scorte USA continuano a crescere a un ritmo costante.

La scorsa settimana le scorte USA sono aumentate di 2.299 mila barili a fronte delle 3.100 previste, cifra inferiore alle 9.357 mila del rilevamento precedente. Da ieri pomeriggio il West Texas Intermediate è crollato del 5,20% a 37,74 USD al barile, il suo omologo del Mare del Nord, il greggio Brent, è scivolato di 1,80 USD a 38,80 USD al barile.

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Di conseguenza, le valute legate alle materie prime sono state vendute in Asia. Il dollaro australiano ha ceduto lo 0,30% contro l’USD a 0,7670 USD, senza riuscire a violare al rialzo la resistenza a 0,7680. Un’inversione ribassista sembra essere lo scenario più probabile, soprattutto se si considera che il rally delle materie prime sta perdendo slancio.

Il dollaro neozelandese sta ancora testando la resistenza chiave che giace a 0,6897 (massimo 15 ottobre). Sarà necessaria una violazione decisa per ravvivare il rally; rimaniamo tuttavia piuttosto cauti sulla coppia, soprattutto alla luce dell’impostazione accomodante della RBNZ e dell’attenuarsi del rally delle materie prime.

Sul fronte azionario, i mercati regionali asiatici hanno vissuto una seduta difficile, gran parte degli indici regionali si muove in territorio negativo, fatta eccezione per i titoli della Cina continentale, che sono rimasti in territorio positivo. Gli indici compositi di Shanghai e Shenzhen hanno guadagnato rispettivamente lo 0,11% e lo 0,29%. In Giappone, il Nikkei è scivolato dello 0,71%, il più ampio indice Topix ha ceduto lo 0,67%. A Hong Kong, l’Hang Seng ha perso lo 0,43%. In Europa il quadro non è migliore, infatti tutti i future sui listini azionari si muovono in territorio negativo.

Oggi gli operatori monitoreranno il PIL in Canada; le approvazioni di mutui e il PIL nel Regno Unito; le stime sull’IPC in Italia, Spagna, Francia ed Eurozona; la bilancia commerciale in Sudafrica; le domande iniziali di disoccupazione, l’ISM di Milwaukee e l’indice dei responsabili acquisti di Chicago negli USA.

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